domenica 14 agosto 2011

Il caffè amaro - pensieri in libertà, di libertà

Le storie del caffè sono una ben piccola e insignificante cosa tra le tante, e ben più importanti, storie che abbiamo sentito. Eppure, proprio la loro semplicità, quella di un racconto, è riuscita a creare un legame diretto, personale, tra questa gente, così diversa e testarda, tra questa terra, così lontana e terribile, e la mia realtà.

occorre sempre partire dalle cose semplici, quelle che si fanno, che si capiscono, con le proprie mani. sono come fondamenta. sono queste che rendono forti i palazzi di concetti che ci costruiamo sopra, in fisica come in tante altre cose (è difficilissimo per un fisico non parlare di fisica :))

quando mi sono iscritto all'università mi piaceva (e mi piace tutt'ora) la fisica delle cose semplici: le cose che rotolano, che cadono, che si muovono.
allo stesso modo quando mi sono iscritto a questo campo avevo in testa una cosa altrettanto semplice: prima di essere un'organizzazione o una potenza economica, la mafia è una cultura. questa cultura è, semplicemente, incompatibile con la mia. se non si ha chiaro questo, non si capirà mai, mai cosa significa lotta alla mafia. che prima, e ben più efficacemente, di essere fatta con l'esercito, deve essere fatta con le scuole.

non sapevo bene cosa aspettarmi. non ero mai stato in calabria e, a causa di altri impegni con l'università, mi sono ritrovato a partire quasi all'improvviso, con la mente già occupata a digerire un'esperienza di quasi un mese a trieste.

la prima fatica, bella, che ho affrontato, insieme a luca, amico di una vita, fisico anche lui (fisico vero, un teorico, ma in bicocca) affrontato sono stati 1200 km di viaggio in zafira (devo fare un monumento a quella macchina). 16 h attraverso tutta l'italia. viaggio condiviso con altri 2 fisici di trieste verso la lor natia terra, la stessa calabria. nota: con l'ovvia eccezione del lettore, in campania la gente guidano con culo.

quel viaggio è stato l'inizio di una settimana di.. libertà è la prima parola, la parola più piena, parola che ci hanno rubato, una delle tante che andrebbe fatta respirare a pieni polmoni a tutti i ragazzi a 20 anni.
siamo stati, siamo liberi. chi lavora è libero.

il lavoro è la seconda parola. il lavoro delle mani, il lavoro nei campi (per una quanto mai felice volta, non quantistici). il lavoro nella terra, sotto il sole. il lavoro che ti riempie di una strana sensazione di orgoglio, che ti avvicina a sorrisi che in altro modo non si possono ne condividere ne tantomeno capire. il lavoro che si assapora con tutti i sensi. il calore del sole, il sapore e l'odore della terra, la sensazione piena delle mani sugli strumenti. rare volte ho vissuto esperienze così piene, faccio fatica a trovare parole tanto dense da poter anche solo dare un'idea. è quasi come amare una donna. la stessa sensazione, la stessa gioia l'ho avuta solo quando sono andato a lavorare come camieriere alla festa dell'unità a bibbiano, anni fa. un'esperienza alla quale andrebbe dedicato un'intero post.

tutti noi, che passiamo le nostre giornate davanti ai libri, all'università non possiamo non desiderare questo. quanto vale il vostro 110 e lode, se non avete mai provato che significa lavorare la terra, o non avete mai provato a lavorare in officina? che razza di uomo è quello che non desidera questa intensità, questo fuoco che vi brucia dentro l'anima? come potete dire di essere completi? quello che vi manca è tanto lontano quanto le vostre mani.

condivisione è la terza. siamo arrivati da tutta italia. ognuno con la sua storia, con le sue motivazioni. e ancora, quasi non mi spiego come abbiamo fatto a legare così tanto, così in fretta. ci ha unito il lavoro e l'ideale, il sudore e l'emozione un intreccio che mai, nella mia vita, mi aveva dato tanto. siamo riusciti a creare una serata che mai dimenticherò, quella a cittanova.

scoperta è l'ultima. con stupore ho trovato qualcosa che mi ha sempre guardato da lontano e che mai avevo avvicinato più di tanto. ho sempre considerato eccezioni le brevi scintille di luce che ho trovato in questo paese.
ma qui ho trovato una realtà di cui non ho paura di dirmi orgoglioso. una italia di cui andare fiero, di cui voglio fare parte. un'italia che esiste e che dobbiamo raccontare.

Come Domenico anche io prendo il caffè, amaro, più volte al giorno: un piccolo gesto, che da oggi, ogni giorno, si colora di un nuovo significato, che si ricava da quest'esperienza da questa testimonianza.